AGROECOLOGIA - Ritorno al Futuro
Agroecologia ed Olivicoltura, ma come si combinano?
Lo sviluppo di attività virtuose che abbiano il fine di preservare l'ambiente e lo sfruttamento del suolo; significa tornare all'olivicoltura di cento anni fa, combinarla con altre produzioni agricole ed allevamenti allo stato brado, al fine di valorizzare la biodiversità, la propagazione di insetti impollinatori come le api e la multifunzionalità dell'uliveto. Il futuro è l'agroecologia, con gli oliveti tradizionali, le produzioni di alta qualità a basso impatto ambientale ovvero sostenibili ed ecocompatibili.
Qual è l'impatto ambientale e sociale dell'uliveto tradizionale?
È forse già noto che gli olivi svolgono un'importante azione protettiva sul terreno tale da ridurne il rischio idrogeologico, meno noto è che sono agrosistemi a zero impatto ambientale. L'uliveto assorbe e riduce la CO2 nell'aria e lo fa per una quantità 6 volte superiore rispetto a quella emessa durante il processo produttivo dell'olio extravergine. Il Consiglio Oleicolo Internazionale ha calcolato che per produrre un litro d'olio di oliva vengono assorbiti 10,65 kg di anidride carbonica, e il rapporto cresce ancora se si prende in esame l'agricoltura biologica ed ecosostenibile. I risultati ottenuti dalle ricerche pongono le basi per interessanti prospettive sul ruolo dell'olivicoltura nelle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. La Sabina con 2.500.000 ulivi a Nord di Roma rappresenta oggi il più grande filtro di anidride carbonica della capitale. L'impatto è talmente elevato che se venissero riconosciuti i "crediti di carbonio" anche gli oliveti marginali, questi accrescerebbero la loro competitività e si contrasterebbe l'abbandono in aree economicamente ed agronomicamente marginali. Oltre alle indubbie virtù ecologiche, l'olivo rappresenta è anche un tipo di coltivazione adatta ai contesti ambientali più difficili, il cui inserimento consentirebbe il recupero di territori abbandonati perché considerati meno produttivi. Con il progetto Sabina Mater il Consorzio ha candidato la l'area storica della Sabina al Registro Nazionale del Paesaggio Rurale, delle Pratiche Agricole e Conoscenze Tradizionali proprio per il suo immenso valore.
Vale lo stesso per l'olivicoltura intensiva?
Assolutamente no, il super intensivo è infinitamente meno sostenibile, a parità di superficie richiede molti più trattamenti, consuma meno CO2 e produce meno ossigeno. In più è avido di acqua che con il progressivo esaurimento delle falde ed il graduale processo di desertificazione porta alla rovina ambiente e territorio. Gli uliveti super intensivi fanno concorrenza sleale all'oliveto tradizionale, questo tipo di impianto oltre ad esaurire le falde acquifere, impoverisce i terreni, ma soprattutto distorce il mercato danneggiando gli agricoltori più attenti e sostenibili dell'olivicoltura tradizionale. Per questo, l'olivicoltura intensiva e la super intensiva saranno vietate nel nuovo disciplinare di produzione del Sabina DOP. L' ulivo è un albero millenario, portarlo alla massima produzione in piccoli tempi, comporta l'utilizzo di enormi quantità di prodotti chimici, ed il risultato sarà un olio di scarsa qualità e basso valore nutrizionale. La transizione ecologica è già in atto. Adesso serve, in ogni modo e con ogni mezzo, potenziare la filiera sostenibile dell'intero sistema agroalimentare.
@oliosabinadop
Sabina Petrucci